L’amore per il territorio ed una lunga storia di famiglia nel settore vinicolo, questo è il file rouge che lega Matilde Poggi alla sua etichetta “Le Fraghe”.
Esperienza, passione e competenza solo elementi che emergono dal racconto di Matilde Poggi, vignaiola da generazioni e presidente del CEVI. La sua azienda agricola si estende nel territorio delle Rive del Garda precisamente a Cavaion Veronese un luogo straordinario dove la terra generosa produce vigneti di elevata qualità.
Matilde Poggi, lei è presidente dei Vignaioli Europei. Come ha accolto questa nomina?
La nomina alla presidenza di CEVI – Confédération Européenne des Vignerons Indépendants è arrivata nel luglio 2021, dopo sei anni trascorsi nel ruolo di vicepresidente al fianco di Thomas Montagne (che ha guidato l’associazione dal 2011). Nel tracciato di un percorso comune per me è stato importante in quell’occasione poter contare sulla fiducia dei Vignaioli Indipendenti europei e diventare così portavoce delle istanze delle Federazioni che fanno parte di CEVI davanti alle istituzioni comunitarie.
Questa nomina ha segnato un primato: per la prima volta l’Italia è alla guida di un’importante confederazione che porta la voce dei Vignaioli Indipendenti a Bruxelles – rafforzandone la natura europea –. Durante il mio mandato tante sono state e sono le sfide e le priorità, in primis la difesa del frutto del nostro lavoro, il vino, prodotto agricolo con una valenza culturale, da sempre al centro della dieta mediterranea; il rapporto diretto con i consumatori, e dunque la libera circolazione delle bottiglie di vino all’interno dell’Unione Europea anche per quanto riguarda le vendite a privati; la semplificazione burocratica che, seppur in modo diverso da un Paese all’altro, incide in modo gravoso sul lavoro di tutti i vignaioli europei.
Fa parte di una famiglia di Vignaioli da generazioni. Ci parla della sua storia di famiglia e cosa significa per lei essere Vignaiola?
La mia famiglia si è stabilita qui dal 1880, provenendo dall’entroterra ligure. Le vigne e questi paesaggi fanno parte dei miei ricordi di vita sin dall’infanzia. Particolarmente nitido nella mia memoria è il mese di ottobre quando, dopo la scuola, si andava a vendemmiare; sono sempre stata affascinata da questo mondo scandito dalle stagioni e nel tempo è maturato in me il desiderio di farne parte in prima persona, di contribuire – sapendo ascoltare la vigna e la terra – a far nascere vini miei.
Terza di sei fratelli, con il sostegno di nostro padre, cominciò a vinificare le mie uve nel 1984. Non avendo una strada già tracciata mi sono sentita libera di esplorare e di fare vini che riflettessero la mia visione – dalla beva immediata, molto abbinabili a tavola e con un forte legame con il suolo su cui insistono i vigneti – e le caratteristiche distintive del territorio, senza seguire le mode del momento e concentrandomi piuttosto sull’esaltare al massimo le peculiarità dei vitigni. Il mio essere vignaiola è quindi un mettersi all’ascolto e in osservazione dei vitigni che qui sono da sempre e di questo territorio. Credo che l’ascolto debba essere accompagnato da un grande rispetto per le uve che coltiviamo. Sono quindi per l'enologia poco invasiva.
Cosa vuol dire essere donna imprenditrice nel settore del vino, in genere a maggiore presenza maschile, ha mai trovato delle difficoltà?
Sono vignaiola da quando avevo 22 anni e a quei tempi le produttrici in prima persona non erano tante. Ho dovuto affrontare la sfida di essere donna e giovane, il che significava impegnarsi molto per far sì che venissi presa sul serio, sia in azienda che sul mercato. In questo mi sono però sempre sentita sostenuta da mio padre, che ha sempre incoraggiato me e i miei fratelli e sorelle ad andare avanti per la nostra strada senza paura, ed è questa consapevolezza che cerco di trasmettere ogni giorno alle mie figlie Marta, Irene e Olga. Oggi nel mondo del vino, oltre ad essere una vignaiola, ho anche un ruolo istituzionale; questo mi porta a confrontarmi con vignaioli di tanti Paesi europei ed è un’esperienza che apre molto i miei orizzonti.
Qual è il legame esperienziale che lega le donne e il vino?
Credo che il vino possa essere apprezzato indipendentemente dall’essere uomini o donne. E che il legame che si crea sia dovuto alla sensibilità diversa di chi lo avvicina. Sapranno apprezzarlo persone curiose, guidate da un approccio attento e interessate a scoprire ciò che si cela in ogni bicchiere e a vivere il vino a tutto tondo approfondendo metodi di produzione e regioni viticole.
Vero è che, in questo momento di cambiamento nell’approccio al consumo delle bevande alcoliche, le donne si stanno dimostrando consumatrici attente e desiderose di approfondire la conoscenza del vino.
La sua azienda agricola si estende dalle Rive del Garda e precisamente a Cavaion Veronese, un territorio che beneficia di un paesaggio variegato tra fiumi, laghi e monti. Ci racconta cosa le trasmettono questi luoghi?
Amo il paesaggio che circonda la mia azienda – il Monte Baldo che domina a nord, il lago di Garda con un clima tipicamente mediterraneo, la Valdadige lungo la quale scendono i venti freschi e che hanno scandito ogni momento della mia vita. Amo la terra, ogni metro diversa, portata qui dai ghiacciai che hanno scavato il bacino del lago e la valle dell’Adige in epoca antichissima.
Guidata dalla passione per l’ambiente circostante, tutto ciò che faccio in vigna si pone come obiettivo il rispetto e la conservazione di questa territorialità unica e irripetibile: rispetto per la terra, una natura assecondata, rispettata, mai forzata, e conduzione biologica dei vigneti dal 2009.
I miei vini – una produzione esclusiva di vini fermi, dal 2021 esclusivamente con tappo a vite – rappresentano il meglio che restituisce la mia terra, con una forte impronta che deriva dalle particolari condizioni climatiche del lago di Garda.
Matilde Poggi, qual è il valore che vuole esprimere il suo brand “Le Fraghe”?
Produciamo vini con le uve dei vigneti di proprietà: seguo tutta la filiera dalla coltivazione dei vigneti alla vinificazione e alla commercializzazione di ogni bottiglia che esce dall’azienda. Questo è un grande valore aggiunto, la conoscenza e la cura di ogni passaggio fin dalla coltivazione delle vigne. Quando ho iniziato, 40 anni fa il Bardolino era un vino ben quotato e poi negli anni ha perso identità e il favore dei consumatori, anche per la volontà di parte della filiera di introdurre nuovi vitigni non storici. Io da sempre cerco di produrre un vino identitario, di grande qualità, e solo quando so che ho fatto il meglio che poteva dare la mia terra sono soddisfatta. Detto questo, 40 anni sono solo 40 mesi di vendemmie quindi la strada da fare è ancora lunga.
Ci troviamo anche in una delle zone più vocate in Italia per la produzione di vini rosa; grande attenzione è quindi dedicata al Chiaretto di Bardolino, di particolare eleganza, freschezza e anche longevità – sincera espressione della varietà e del terroir. Il nostro è tra i pochi vini rosa italiani a uscire sul mercato con affinamenti più lunghi, molto godibile anche dopo qualche anno in bottiglia.
Cos’è per lei il “retrogusto”?
Il retrogusto per me è la memoria del vino, quello che mi trasmette e che si deposita nel mio vissuto.