Esiste una città, che nell’immaginario comune è sinonimo di mistero, romanticismo, storia, tradizione e cultura. È una città che ha fatto dell’acqua un’alleata, un mezzo di sopravvivenza, un punto di forza e supremazia. Una città che ha nel suo curriculum il dominio del Mar Adriatico e dell’Egeo, ma anche del Triveneto e della Lombardia, oltre all’aver lungamente controllato le rotte commerciali verso Oriente, con la presa di Costantinopoli. Una terra dalla stabilità politica e tranquillità sociale tale da farle valere l’epiteto di Serenissima. Un luogo popolato da commercianti, marinai e soldati in cui non ci si aspetterebbe di trovare, tra i veneziani di laguna, anche dei vignaioli.
"La città di Venezia, in piazza San Marco ha visto crescere fino al 1100 d.C. un grande vigneto"
Eppure la città di Venezia, nella sua piazza principale – quella di San Marco – ha visto crescere fino al 1100 d.C. un grande vigneto. A pensarci bene poi questo è l’unico spiazzo della città chiamato “piazza”, dove invece tutte le altre prendono il nome di “campi” e “campielli”, con un chiaro riferimento all’agricoltura di sussistenza, necessaria e sviluppata in ogni lembo di terra possibile dato che l’ambiente urbano era ed è composto al 92% da acqua. Esistono documenti storici che parlano del vino consumato dai Dogi e dai nobili di Venezia, il quale non proveniva solo dai commerci e dalla vicina città di Soave, ma anche dalla produzione autoctona. Non era insolito trovare orti lungo i tragitti cittadini, nemmeno lungo le vie che portano il nome di “calli” perciò vennero battezzate di conseguenza, come fu per “Calle della Malvasia” o “Riva del vin”.
La recente riscoperta storica inizia con una delle visite in laguna di un veneto DOC – anzi, DOCG – che risponde al nome di Gianluca Bisol, la cui famiglia da generazioni ha partecipato alla nascita, salvaguardia e valorizzazione della produzione nel territorio del Conegliano Valdobbiadene con l’omonima azienda vinicola. Gianluca, notando alcune vigne di fronte alla basilica di Santa Maria Assunta a Torcello, decide di approfondire la ricerca scoprendo la grande tradizione vinicola delle isole veneziane, tranciata di netto dall’acqua alta del 1966.
Analisi agronomiche fanno risalire queste vigne ad un'antica varietà di uva progenitrice della Garganega chiamata Dorona di Venezia ed è grazie ad una squadra di esperti che si riesce a recuperare dalle varie isole le ultime 88 vigne sopravvissute a quella grande acqua alta.
Fortunatamente la memoria contadina di Gastone, un contadino che produce piccole quantità di uva per consumo familiare, proietta Gianluca Bisol verso la conoscenza delle tecniche di vinificazione usate anticamente. In laguna non si usavano botti vista la scarsità di legname e non erano presenti cantine di affinamento sotterranee. La tradizione vinicola racconta di lunghe macerazioni sulle bucce che donavano longevità alla Dorona.
"Un'antica varietà di uva progenitrice della Garganega chiamata Dorona di Venezia"
Nasce così un progetto di archeologia delle vigne che vede a fianco di Gianluca un altro enologo di spicco del panorama italiano: Roberto Cipresso. In una sorta di remake in chiave enoica del Jurassic Park di Steven Spielberg, Gianluca Bisol e Roberto Cipresso prendono il posto di John Hammond ed Alan Grant, individuando la loro Isla Nublar nella vicina isola veneziana di Mazzorbo. I due si innamorano del “clos” con mura medievali sorvegliato da un campanile trecentesco e decidono di reimpiantare li l’antico vitigno. Creano un vigneto di poco meno di un ettaro, nonostante gli elevati contenuti di sodio di cui il terreno è impregnato e l’ovvio rischio di acqua alta che potrebbe compromettere la vigna. Sono ospiti della cantina che dalla fine del 1800 al 1966 fu di proprietà di Augusto Scarpa, uno dei primi enologi italiani diplomato al Cerletti di Conegliano, la Scuola Enologica fondata da Antonio Carpenè nel 1876. Il Cerletti segnò un punto di svolta nel mondo dell’enologia, sia plasmando produttori di vino da semplici coltivatori che nell’ambito delle sperimentazioni scientifiche grazie agli incroci del famigerato Professor Manzoni.
John Hammond, risponderebbe sorridendo: “Qui, non si bada a spese!”
L’azienda viene chiamata Venissa, nome che reca un omaggio al compaesano di Gianluca, Andrea Zanzotto, un poeta di Pieve di Soligo che, in una strofa del suo: Filò. Per il Casanova di Fellini, si riferisce così alla città veneta: “aàh Venezia, aàh Venissa, aàh Venùsia”.
Nel 2010 prende il via la prima vendemmia, una produzione di 4880 bottiglie che riporta la Dorona di Venezia nelle più importanti cantine del mondo.
Il suo vino di punta è impreziosito dall’etichetta realizzata con una foglia d’oro battuto lavorata dalla famiglia Battiloro, una delle pochissime italiane – e l’unica veneziana delle oltre 300 presenti nella Serenissima del 1700 – rimaste a portare avanti questo antichissimo mestiere.
Può mai esserci nulla di più misterioso, romantico, storico, tradizionale e culturale, che riportare alla luce qualcosa di estinto? John Hammond, risponderebbe sorridendo: “Qui, non si bada a spese!”