Nella parte più settentrionale dell’Umbria, fra colline dai profili dolci e campi coltivati che circondano Città di Castello, si trova una zona estremamente interessante da un punto di vista paesaggistico e culturale: l’Alta Valle del Tevere, snodo fondamentale per gli scambi culturali ed economici fra Toscana, Emilia Romagna, Lazio e Marche; terra battuta da monaci templari, cavalieri, frati, minatori, contadini, artisti, accademici e giuristi. E se l’Umbria è il cuore d’Italia, l’Alta Valle del Tevere ne è sintesi ed espansione, riuscendo a far coesistere, come luce scomposta da prisma, in un equilibrio strano ed armonico, diversità e tradizione.
Uno dei prodotti che esprime questa sintesi è il Vin Santo; alcuni studiosi riconducono l’origine di questo vino al Mar Egeo e alle sue isole, oggi è impossibile separarlo dall’Italia centrale: lo troviamo in Toscana, prodotto sia con uve a bacca bianca che a bacca rossa, lo troviamo nelle Marche, nei Colli Picentini con il loro Vin Santo di Vigoleno raro e sontuoso, e lo troviamo in Umbria, sia in versione “classica” che affumicata.
Il Vinosanto da Uve Affumicate è un vino passito
che viene prodotto da piccole aziende con un’uva quasi scomparsa dal nome vagamente shakespeariano: il Malfiore, detto anche Dolciame. Un vitigno umbro autoctono, diffuso storicamente nei comuni di Città di Castello, Umbertide, Montone, Citerna, San Giustino Umbro e Monte Santa Maria Tiberina, zone in cui si preferiva l’agricoltura alla viticoltura, infatti questa varietà veniva spesso coltivate maritata a aceri campestri a delimitare gli appezzamenti di terreno.
Le famiglie contadine di queste zone avevano sviluppato una tecnica di lavorazione che ha reso unico questo prodotto, l’affumicatura. I grappoli venivano appesi uniti a due a due (a coppiole), in locali ricchi di fumo, per la presenza di camini e stufe, e questo conferiva una nota affumicata al prodotto finale.
Storicamente ogni nucleo familiare della zona appendeva i grappoli alle travi del soffitto, in cucina o nei seccatoi, permettendo al fumo del camino di salire e impregnare gli acini.
Nel corso dell’Ottocento questa tradizione si è intrecciata con un’altra attività in ascesa dell’epoca: la produzione del tabacco.
La coltivazione del Tabacco ha interessato parte dell’Umbria e della Toscana
fino agli anni ‘90 del 1900 circa. Ricordo ancora, fra fine anni ’80 e inizio anni ‘90 i campi di tabacco, la raccolta che a Settembre era quasi un rito con i rimorchi dei trattori carichi, l’odore delle foglie verdi e il profumo pungente che usciva dai seccatoi, dove si stendevano le foglie per farle, appunto, seccare.
In questi locali i produttori di vino sistemavano anche i grappoli, esponendoli al fuoco e al fumo delle grandi stufe a legna.
Originariamente veniva impiegata l’uva Malfiore, da sola o con trebbiano, malvasia ma anche grechetto, tutte raccolte a maturazione non eccessiva. Oggi come allora la lavorazione inizia fra Settembre e Ottobre con la vendemmia, le uve sono fatte poi appassire per tre, quattro mesi, fino a dicembre o gennaio. A questa prima fase segue la diraspatura, la torchiatura e la fermentazione. Infine avviene l’immissione per l’affinamento in caratelli con la madre (un lievito indigeno spesso centenario che tutte le famiglie di produttori hanno).
Non è un vino economico. I tempi di affinamento sono minimo cinque anni, e dopo 10 anni, fra appassimento e spremitura,
La resa del prodotto è di circa un decimo rispetto al prodotto iniziale
Il risultato è un vino ambrato, scuro e pastoso, con note di frutta secca, datteri e miele di castagno, tè nero e un’inconfondibile nota affumicata.
Nel 2014 è nato un Consorzio per dare voce ai pochi produttori (circa quindici) che ancora se ne occupano e il "Vinosanto da uve affumicate" è diventato Presidio Slow Food.
Non è un vino economico, e proprio grazie a questo, è un vino che permette di salvaguardare le tradizioni e la biodiversità, mantiene inalterati i sapori del passato e consente agli agricoltori di non omologarsi ad un mercato che offre tanta quantità ma poca diversità.
È un vino arcaico, fatto da mezzadri e contadini
ci parla di veglie davanti al camino, cenere, lavoro nei campi, di signori padroni, di vita indiscutibilmente dura ma allineata allo scorrere del tempo e delle stagioni e alla valorizzazione della “Festa”. La desacralizzazione di tutti gli aspetti della vita umana ha lasciato spazio per lo più alle cose e ad un consumismo frenetico, possiamo riprenderci un pezzetto di “sacro” ritagliando dai nostri impegni quotidiani un po di tempo per scoprire e apprezzare tutta la diversità di cui disponiamo, magari iniziando proprio dall’Alta Valle del Tevere.