Il ritorno in Argentina è stato il pretesto per visitare una delle zone più vocate dell’America Latina.
Se negli altri viaggi la mia curiosità enoica si era fermata tra Mendoza e la Valle de Uco, questa volta voglio spostarmi verso nord, nella provincia di Salta, a Cafayate, chiamata dai locali come la “Toscana d’Argentina”.
Fermo restando che di Toscana a Cafayate c’è ben poco, a parte la distesa infinita di vigneti: il “pueblo” è su un altopiano semidesertico situato ad un’altitudine media di oltre 1600 metri incastonato tra i giganti rocciosi delle Ande.
La zona è famosa per la produzione di vini bianchi, soprattutto Torrontés
vitigno a bacca bianca semi-aromatico di origine spagnola. Tra le strade polverose e non asfaltate del piccolo villaggio vi sono diverse “bodegas” che propongono visite gratuite con pacchetti per assaggiare le diverse tipologie di vino.
La scelta cade su Bodega Nanni, cantina di chiare origini italiane, tra le prime realtà argentine a convertirsi all’agricoltura biologica. Ad oggi sono quattro le generazioni di Nanni che si dedicano alla coltura ed alla vinificazione con particolare attenzione all’ambiente, conseguendo nel 1996 la certificazione biologica tra le prime realtà in America Latina. L’ingresso in bodega è in una strada in terra rossa, il caldo la fa da padrone. C’è una gigantesca porta in legno da cui si scorge il verde di un prato ed in lontananza una grande botte in legno con la scritta Bodega Nanni. Si fa avanti una ragazza, mi invita ad accomodarmi all’interno.
Si parte da un Torrontés della “linea juvenil” 2022: colore giallo paglierino, al naso vi è una grande intensità aromatica, si scorgono note di rosa, di fiori bianchi, di ananas, mango ed in bocca il sorso presenta un’ottima freschezza, una bella sapidità, molto labile il corpo e breve la persistenza.
La seconda etichetta che mi stuzzica è una vendemmia tardiva di torrontès, la cui etichetta si chiama “Tardio”, con uve lasciate maturare direttamente in vigna. Colore giallo pieno con riflessi che virano verso il dorato, all’olfatto emerge subito il miele, l’albicocca candita, ed una nota floreale. In bocca è armonico, rotondo, con una giusta persistenza gustativa.
A Cafayate fa caldo, siamo nel pieno di dicembre (le stagioni nell’emisfero australe sono invertite), il sole picchia forte, le strade passano da un selciato polveroso in terra rossa a delle grosse pozze d’acqua fangose dovute all’irrigazione, non c’è una via di mezzo come niente altro qui in Argentina. Non esistono marciapiedi sulla Ruta 40, non esiste asfalto, solo vecchi trattori e qualche ciclista improvvido che sfida la terra, le Ande ed i vigneti.
Camminando per Cafayate si prova un gusto retrò, da film western
la piazza principale ha in mezzo un piccolo parco, immancabili ai lati una chiesa ed il Cabildo (il municipio), una farmacia ed una serie di ristoranti ed enoteche che vendono prodotti locali. Mi siedo in un locale, per riprendermi dalla camminata sotto il sole ordino una Quilmes gelata, la cameriera mi dice che è fredda come i ghiacciai delle Ande, la verso nel bicchiere e inizio a pensare a tante cose e mi rendo conto che forse ha ragione Paolo Conte: “una birra fa gola di più, in questo giorno appiccicoso di caucciù”
Continuo a bere la mia Quilmes, pensando a tutta la distanza tra Italia e Argentina, tutta la distanza tra la Toscana e la provincia di Salta e forse le uniche cose in comune che riesco a trovare sono le vigne e la brace, il modo di cucinare la carne. Che poi i vitigni coltivati sono diversi, dal Sangiovese al Colorino al Canajolo, alla Vernaccia (giusto per citare i più noti), ai vari Malbec, Tannat e Torrontes, ma anche Bonarda che sa tanto di nebbia padana
“che sembra un bicchiere di acqua e anice”
come direbbe ancora Paolo Conte. Un altro modo per sentirsi più vicini potrebbe essere il modo di lavorare le carni, ma anche il modo di intendere la brace differisce: la nobiltà di una costata o di un taglio a “T” come quello della bistecca alla fiorentina contro il proletariato dell’asado e della bavetta, tagli sicuramente meno pregiati ma non meno gustosi.
La Quilmes è finita, ne ordino un’altra, la cameriera si assicura che sia ben fredda e me la porta al tavolo, verso la birra nel bicchiere e riecheggiano ancora i pensieri e le similitudini tra l’Italia, chissà quale Italia e questa parte d’Argentina. Passano i pensieri e passano i trattori, i ciclisti, gli omnibus diretti a Salta o a Tucumàn, le strade sono sempre impolverate e
lenta e rosata arriva la sera
Si fa ora di cena, sempre seduto in quella piazza, si sono succedute un paio di birre, i pensieri sono sempre tanti, la cameriera mi chiede se voglio mangiare qualcosa, ordino delle empanadas, mi consiglia quelle con ciruela y panceta, prugna e pancetta, sono tipiche della zona. Una volta presa l’ordinazione va via, torna dopo pochi minuti per prendere la bottiglia vuota, mi chiede se voglio del vino con l’empanadas, le rispondo che preferisco un’altra Quilmes, perché una birra fa gola di più in questo giorno appiccicoso di caucciù, mi dice di non aver capito, sorrido, lei si gira con aria sorpresa e si dirige verso il frigo…