“Quale vino italiano vi viene in mente per primo? Solo uno”, chiede il docente a ciascuno degli studenti seduti nelle prime file. “Barolo”, “Barbaresco”, “Chianti Classico”, “Amarone” – sento le voci dei miei vicini. “Brunello di Montalcino” – dico io e poi penso: “Perché tanti di noi pensano alle stesse regioni, spesso anche agli stessi vini?” Il Registro Nazionale delle varietà di Vite in Italia include oltre 500 vitigni da vino. Spesso giriamo attorno agli stessi vitigni e vini, lasciando in disparte alcuni autoctoni che possono essere capaci di portarci in una straordinaria avventura sensoriale.
Quel giorno ero ad una lezione del corso per sommelier sui vini del Lazio. Abbiamo parlato di Frascati DOC e Cesanese del Piglio DOCG, ma il mio pensiero era già andato al Basso Lazio. Lo scorso inverno ho assaggiato un raro vitigno rosso del frusinate, il Lecinaro. Con i suoi profumi di prugna matura, cacao, pepe nero e spezie dolci ha catturato la mia attenzione. Pertanto non potevo permettermi di non conoscerlo meglio.
Ed eccomi qui, in una visita alle cantine della provincia di Frosinone. Ci incontriamo ad Arce, un piccolo comune dalla storia antica.
Qui gli antichi Romani coltivavano la vite, integrando nelle loro pratiche le tradizioni dei Greci e degli Etruschi
Un giorno queste terre facevano parte del Regno di Napoli e oggi costituiscono un punto importante nella "mappa agricola" della Ciociaria del Basso Lazio. Hanno visto passare tante modalità di coltivazione e di raccolta: dove, se non qui, ricercare i fili delle storie dei vitigni autoctoni laziali?
Andiamo a Palazzo Tronconi, un'azienda agricola biodinamica che celebra tutti i volti del Lecinaro. Qui assaggiamo il Lecinaro spumantizzato, fatto col metodo classico, e nella vinificazione ferma le versioni rosata e rossa. Invece insieme ad altri vitigni, in blend con il Lecinaro, scopriamo il bianco.
Nelle note storiche più recenti troviamo riferimenti al Lecinaro nel XIX secolo e oggi. La memoria precedente della coltivazione e vinificazione del vitigno è frammentaria o varia in diverse fonti. Сome e cosa ha portato il Lecinaro a Palazzo Tronconi?
“Il Lecinaro c’è sempre stato da me, però nessuno ha mai preso tempo per registrarlo,” – racconta Marco Marrocco, il proprietario e vignaiolo di Palazzo Tronconi.
Solo nel 2009, il Registro Nazionale delle Varietà di Vite da Vino ha ufficialmente riconosciuto alcuni vitigni autoctoni del Lazio, tra cui
Maturano, Pampanaro, Capolongo e Lecinaro
Un progetto dell'Arsial (Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l'Innovazione dell'Agricoltura nel Lazio) si dedica al recupero di queste varietà indigene, creando una vigna sperimentale per salvaguardare il patrimonio vitivinicolo locale. Ora il Lecinaro è coltivato circa su 20 ettari. I vignaioli credono fermamente nel rinascimento dei vitigni autoctoni. Perchè? Lo capiamo solo con la pratica – assaggiando i vini.
Marco Marrocco racconta che la cosa che lo appassiona di più del Lecinaro è che si tratta di un vitigno molto eclettico, multitasking. Ma cosa significa? Se dovessimo descrivere il Lecinaro, potremmo dire che è un vino di facile beva con tannini morbidi. Ma non sempre lo è, non spesso, non del tutto. Il Lecinaro è una pianta che tende a produrre molto, ma con le giuste tecniche agronomiche e “scaricando molto la pianta”, è possibile ottenere vini di grande struttura e adatti a un lungo invecchiamento, come spiega Marco che ci lascia intuire la possibilità del Lecinaro di essere multitasking.
Come due pugili in un incontro sul ring da una parte ci siamo noi, appassionati e appassionate di vino, dall’altra le variazioni climatiche che influiscono sulle coltivazioni. Se volessimo rappresentare i nostri gusti, sintetizzando quelli che più ci accomunano, potremmo dire che desideriamo maggiormente vini più freschi senza un’eccessiva influenza di botte e con un livello alcolico moderato. Dall'altro lato del ring ci sono i cambiamenti climatici che implicano un aumento delle temperature, a volte una maggiore concentrazione di zucchero nell'uva, e quindi più alcol nel vino. Ma sembra che il Lecinaro non se ne preoccupi infatti ha un’acidità alta e capacità di dare alcool moderato, a differenza di altri vitigni del basso Lazio che normalmente hanno acidità più bassa. Per esempio, un Lecinaro di 11 gradi alcolici in blend può rinfrescare i vini bianchi.
La variazione del carico produttivo della pianta può essere destinato a diversi stili di vino. Se la pianta ha un grande carico di grappoli, è possibile fare il metodo classico. “Se la scarico di più – un vino rosato – dice Marco Marocco, – scaricando ancora di più la pianta, quindi diminuendo la quantità di uva, posso fare anche un vino rosso strutturato”.
Ci sono anche altre cantine ciociare che credono nel Lecinaro, tra cui D.S. Bio, Vitivinicola Cioffi e Il Vecchio Poggio.
Ci trasferiamo da Arce ad Isola del Liri, sempre nella provincia di Frosinone. Amedeo Iafrati – il presidente della associazione Ciociaria Naturale, il proprietario e vignaiolo dell'azienda Il Vecchio Poggio – racconta che li appassiona la bellezza del grappolo del Lecinaro, la vendemmia “tardiva” e il prodotto che ne esce, di strabiliante freschezza e complessità.
Il Lecinaro matura lentamente aspettando il suo turno per la vendemmia in ottobre
le alte temperature e il caldo eccessivo non gli impediscono di seguire il suo ritmo calmo. Anche in queste condizioni, il Lecinaro è in grado di produrre vini rossi eleganti e morbidi.
Amedeo inizia a raccogliere il Lecinaro la seconda settimana di ottobre, nella sua vigna grande quasi un ettaro: un piccolo appezzamento di terra ma dal grande potenziale. Tutto qui è stato impiantato tra il 2008 ed il 2015. Prima Syrah e Cabernet Sauvignon occupavano il posto principale tra i rossi. Poi la svolta: Amedeo ha deciso di puntare sugli autoctoni. Ha sovra innestato il Lecinaro sul Cabernet Sauvignon per avere un vino più fresco, di pronta beva, ma con carattere.
“Riama” 2022 IGP Frusinate Lecinaro di Il Vecchio Poggio è 100% Lecinaro fatto in anfora di terracotta ha solo 12% di gradazione alcolica. Nello stesso tempo è un rosso di bell’equilibrio, complessità e profumi generosi. Amedeo pensa che il Lecinaro abbia sfumature diverse – può essere un vino di facile beva e leggermente tannico, ma anche un vino adatto per invecchiamenti lunghi nel legno.
Mentre assaggiamo il “Riama”, Amedeo racconta quanto sia delizioso abbinato ai pecorini freschi della valle di Comino, oppure a “sagne e fagioli”. Quest'ultimo è un piatto tipico ciociaro, preparato con maltagliati, fagioli, cipolla, aglio, sedano e peperoncino piccante.
Se il Lecinaro presenta molteplici volti, altrettante sono le possibilità di abbinamenti gastronomici
“Cloe”, della cantina Palazzo Tronconi è un metodo classico da uve 100% Lecinaro che sembra nato apposta per abbinarlo ai tortelli cacio e pepe. Il “Gizziello” frizzante rosato con i suoi profumi di pompelmo rosso, mandarino e purea di pesca diventa un aperitivo rinfrescante. Una “sfumatura” più elegante del Lecinaro di Palazzo Tronconi è “Zitore”. Qui Marco raccomanda di puntare nella direzione di piatti locali più strutturati come la сoratella di agnello.