Il rosato, sempre più emblema di una Puglia in grande fermento, vive forse il suo momento migliore perché ha superato i pregiudizi di chi immaginava fosse fatto mescolando vino bianco e rosso, di chi pensava fosse un surrogato di un rosso adatto ad essere bevuto ghiacciato nelle torride serate estive e di chi seguiva le tonalità che il mercato cercava in quel momento. Ha vinto affermando la sua identità e mostrando le sue sfumature, quelle che daranno nuove prospettive alla versatilità dei vitigni legandosi indissolubilmente al territorio.
Parlando con diversi produttori si ha la forte sensazione che il rosato rappresenti (almeno in Puglia) un legame indissolubile con la terra e i contadini che la coltivavano. Il fascino di questo prodotto viene dal fatto che in passato rappresentava il vino bevuto dai contadini. La tecnica utilizzata è quella del salasso, creata per rispondere all’esigenza di avere mosti più concentrati. Alla parte destinata ad essere scartata le si faceva finire la fermentazione per poter avere un prodotto adatto al consumo. Si otteneva un vino che poi restava per la maggior parte sulle tavole di chi lo produceva. Così questi vini raggiungevano i requisiti giusti per essere consumati in tutta Italia attraverso i famosi “Trani”, le osterie che, a Milano o nel nord Italia, prendevano il nome del centro pugliese di Trani, in provincia di Bari (citate anche da Gaber in una sua canzone).
Poi il rosato pian piano ha costruito la sua identità, l’ha affermata, ne è diventato simbolo grazie alla lungimiranza di uomini in grado di anticipare i tempi e vedere un… roseo futuro
L’arcobaleno di tonalità rosate può essere pressoché infinito ed avere davanti a voi diversi calici di rosato potrebbe avere un risultato caleidoscopico che vira dalla delicatezza delle note pastello alla incisività di un rosato contaminato dalle sfumature corallo, passando attraverso mille e più sfumature.
Il mondo del vino è da sempre in evoluzione, mai domo e sempre pronto ad accogliere nuove sfide. La sfida più grande che il rosato sta vivendo è quella strettamente legata alla sua longevità: chi lo ha detto che il rosato debba essere solo un vino immediato da bere d’annata? Ed ecco che rispondendo a questa domanda alcuni produttori hanno voluto, attraverso alcuni dei loro prodotti, raccontare un gusto diverso, una nuova prospettiva.
Una di queste è l’azienda Michele Calò e figli a Tuglie, in provincia di Lecce, col suo Mjere rosato edizione limitata. Il territorio di Tuglie è un fazzoletto di pochi ettari con suolo a prevalenza carbonica alla fine di una propaggine della murgia salentina e a pochi chilometri dalle coste gallipoline, paese storicamente dedito al commercio di uva e vino, soprattutto per la vicinanza col porto di Gallipoli che insieme con quello di Brindisi hanno rappresentato gli snodi principali del commercio marittimo pugliese.
Il loro motto è ‘’Custodi di un’azienda’’, intesa come territorio, tradizione, uomini, storia e cultura. Se avrete il piacere di incontrare ed ascoltare Giovanni mentre vi racconta la sua azienda ad un certo punto gli sentirete pronunciare queste parole, poiché col fratello Fernando portano avanti il lavoro cominciato nel 1954 da papà Michele.
Il vitigno di riferimento è il negramaro, che in questa zona, col passare del tempo, risulta più sapido arricchendosi di sensazioni iodate
Osservando queste caratteristiche nel 2010 si decide di cominciare a provare a dare una nuova veste al loro rosato ed è così che nasce il Cerasa un rosato il cui 30% fa passaggio in botti tostate a vapore. Il Cerasa è stato commercializzato per la prima volta nel 2011.
Ma è risaputo che il destino ha mille strade: nel caso del rosato varie vicende si alternano ma quella più particolare viene raccontata in un aneddoto - drammatico al principio - ma che col passare del tempo si è rivelato una benedizione. Il caso ha voluto che nel 2015, durante importanti interventi alla pavimentazione, mentre si eseguivano i lavori, in concomitanza con uno spostamento di attrezzature, una botte atta a diventare rosato diventasse inaccessibile alle normali lavorazioni di cantina. La soluzione a questa situazione spiacevole venne trovata facendo dei batonnage, accedendo dall’alto, per vedere cosa succedesse. Il risultato è stato straordinario, oltre le migliori aspettative: un rosato dalle sfumature ramate, complesso, ricco, iodato. Insomma, una nuova veste.
Da quel momento si è deciso di migliorare il processo, utilizzando le uve delle annate migliori per produrre questo rosato che oggi si presenta sul mercato con l'etichetta “Mjere rosato edizione limitata 2020”. Un rosato gastronomico che si lega molto bene alla cucina salentina, suo territorio di nascita.