Glasgow | UK

La birra nomade

I birrifici virtuali, tra tradizione, innovazione, flessibilità e abbattimento dei pregiudizi. Con una birra che resta “attaccata alle mani”.

Glasgow | UK

La birra nomade

I birrifici virtuali, tra tradizione, innovazione, flessibilità e abbattimento dei pregiudizi. Con una birra che resta “attaccata alle mani”.

Il settore della birra artigianale, come numerose altre attività, si è trovato in difficoltà negli ultimi tempi, con la chiusura di numerosi birrifici a causa dell'aumento generale dei costi. Proprio questa situazione di precarietà ha contribuito alla nascita di soluzioni alternative che potrebbero salvare molte aziende dalla completa scomparsa, ed è interessante notare come di recente sia emersa una nuova classe di birrai, subito diventata molto amata dai blogger di tutto il mondo, definiti birrai a contratto. 

A questa categoria appartengono i birrai itineranti, spesso definiti:

birrai nomadi o “gipsy brewers”

Questi artigiani del luppolo seguono il modello creato dai "viticoltori volanti" che hanno iniziato a emergere dall'Australia negli anni '80  ed hanno scelto di produrre il loro vino in tutto il mondo. I birrai itineranti propongono le loro creazioni solitamente con un unico marchio generale, ma le birre potrebbero essere state prodotte ovunque. Un gipsy brewer, spesso una singola persona, può lavorare contemporaneamente a vari progetti, a volte in paesi diversi. 

Un altro esempio è rappresentato dai cosiddetti birrifici virtuali o “cuckoo breweries”. I birrifici virtuali non dispongono di mezzi propri, ma utilizzano quelli di un altro birrificio, generalmente sempre lo stesso. Condividere locali, macchinari, linee di imbottigliamento e inscatolamento può far risparmiare molto sui costi iniziali necessari per avviare un birrificio, e può consentire ai birrai di mettersi alla prova sul mercato e assicurarsi che l'attività funzioni. I birrifici virtuali producono quasi sempre le birre da soli, ed è solo l'attrezzatura ad essere presa in prestito. I cuckoo brewers prendono di solito in affitto l'intero impianto, per periodi anche lunghi, avendo tendenzialmente la priorità sulla produzione del birrificio ospitante, mentre i birrifici nomadi, pur producendo le loro le birre da soli o in collaborazione con il birrificio ospitante, utilizzano spazi e attrezzature in specifici momenti concordati.

Sebbene gli appassionati di birra artigianale siano talvolta stati sospettosi 

Nei confronti della birra prodotta a contratto, questa pratica è ormai così diffusa che lo stigma del "non possedere l'acciaio" (dei tini e dei fusti) sembra stia svanendo. Questioni di provenienza e presunta autenticità aleggiano ancora nei circoli della birra artigianale, ma recentemente sia i birrai che i bevitori hanno prestato maggiore attenzione alla birra in sé e alle persone che la producono, piuttosto che alla posizione geografica o alla proprietà del birrificio. 

Tra i numerosi vantaggi offerti da questo modello imprenditoriale troviamo la già citata riduzione dei costi, una maggiore flessibilità e un’ampia distribuzione, ma anche la possibilità di concentrarsi unicamente sulla creazione di birra di alta qualità, delegando la produzione e la logistica al birrificio ospitante. Ovviamente questo implica anche il rovescio della medaglia, rappresentato da un minor controllo sul processo produttivo e da un aumento della concorrenza: dato che il mercato dei birrifici nomadi è in forte crescita potrebbe diventare più difficile emergere e distinguersi, fidelizzando i clienti.

Un esempio concreto di queste pratiche è il “Dookit” in Scozia. Harry Weskin ha iniziato la sua attività come birraio virtuale alla fine del 2020 e ora è finalmente riuscito ad allestire il suo birrificio indipendente artigianale a Tollcross, nella zona industriale di Glasgow, con uno slogan che è un manifesto: 

Having fun making beer for all

Qui condivide attualmente il suo impianto con il birrificio cuckoo Up Front Brewing e contemporaneamente continua a sviluppare la sua gamma principale, oltre alle birre stagionali speciali, in edizione limitata. Come “Afresh”, la sua ultima creazione primaverile in collaborazione con Peter Mc Kenna del blasonato ristorante The Gannet, la “forager” Amy Rankine e Federico Lubrani di Slow Food Glasgow. 

Un Extra Pale Ale biologica dal carattere erbaceo e botanico, con note di cetriolo. La presenza di alghe zuccherine, con il loro sentore umami, rinforza il corpo e contribuisce a definire un gusto sapido e sottile, morbido in bocca. Luppolata con Wakatu, per un tocco agrumato e floreale, ha anche una delicata aggiunta di “galium aparine” ad accentuare la freschezza della bevuta. Una pianta questa, conosciuta anche come “attaccamani”, molto diffusa e usata nella medicina popolare per curare ulcere, malattie della pelle e per cagliare il latte.

Nonostante i potenziali ostacoli, i birrifici nomadi rappresentano un segmento dinamico e innovativo nel panorama brassicolo. La loro flessibilità e creatività li spingono a sperimentare con nuovi ingredienti, tecniche e stili, contribuendo alla diversificazione e all'arricchimento del mondo della birra.