Cosa resta di inesplorato nella degustazione se non l’ultima frontiera, la degustazione che può sembrare impossibile, quella del liquido definito inodore e insapore?
Cosa c’è di più comune dell’acqua? Tutti la conoscono, tutti hanno avuto a che fare con lei sia nel consumo come bevanda sia per le cure ad esempio quelle termali. Oggetto di antichi culti, all’acqua e alle sorgenti vengono dedicati templi e luoghi di venerazione.
Elemento dalla duplice veste, che dà e toglie la vita, simbolo di purezza per eccellenza.
L’acqua ha sempre esercitato il fascino del sacro nell’essere umano.
"Passavamo sulla terra leggeri come acqua (...) come acqua che scorre, salta, giù dalla conca piena della fonte”
scrive Sergio Atzeni nel suo romanzo “Passavamo sulla terra leggeri”. Atzeni romanzando la storia della Sardegna, in questo passaggio si affida alla descrizione dell’acqua per farci immaginare lo scorrere del tempo e delle generazioni che si sono susseguite sulla terra. Le antiche civiltà ci hanno lasciato testimonianze del culto delle acque potabili con templi a ridosso delle fonti.
L’acqua viene da sempre descritta come il liquido inodore, incolore e insapore per eccellenza. Ma se chiediamo a un idrosommelier di raccontare la differenza tra una bottiglia e un’altra scopriamo che anche il liquido insapore per eccellenza ha le sue sfumature, dovute principalmente al discioglimento della quota parte di sali oligominerali nella sua composizione chimica. Tra gli specialisti si parla di studiare e conoscerne le caratteristiche per poterla meglio abbinare al vino o ai cibi perché
Esattamente come ogni altra bevanda l’acqua può esaltare o penalizzare gli aromi e i profumi del cibo
E delle bevande. Ricordo ancora il gusto dell’acqua termale Giapponese della fonte di Lamune Onsen Kan, a Oita, nell’isola di Kyushu; aveva un retrogusto minerale, ferroso, leggermente frizzante: unico. Al di là delle caratteristiche chimiche che la rendono un’eccellente l’acqua termale aveva una sapidità che non avrei problemi a definire come Umami. Probabilmente un abbinamento con un cibo rivelerebbe delle gradite sorprese, esattamente come per un vino.
Le fonti di acqua potabile erano molto ben conosciute dalle persone che abitavano nei dintorni e apprezzate per le loro differenze, al punto tale che ognuno preferiva quella di una fonte rispetto a ad un’altra, proprio per il suo “gusto” diverso.
Si dice -ed è vero- che nella città di Roma, ogni fontana è alimentata da acqua potabile. Una passeggiata tra le strade romane in estate è resa ancor più piacevole da questo: avere a disposizione sempre acqua potabile per potersi dissetare e contrastare la famigerata “canicola” estiva.
L’acqua è importante a tavola, anche e soprattutto in una degustazione: se si alterna, per ogni mezzo bicchiere di vino bevuto, un bicchiere d’acqua questo ci aiuterà nel gestire il tasso alcolemico nel sangue e quindi rendere meno impattanti gli effetti dell’alcool nel corpo.
Bere acqua è un gesto connaturato alla vita stessa
Gli esseri umani, gli animali, le piante ne hanno bisogno e solo l’essere umano ne modifica la struttura, il gusto e l’aspetto per capriccio, trasformando questo elemento eppure lasciandolo simile a se stesso. La birra, il vino, le bevande di frutta, i tè e i caffè non sono altro che un modo di dissetarsi includendo nell’acqua elementi dalle più svariate caratteristiche.
Ma come poter essere sicuri che l’acqua sia effettivamente pura, e quindi adatta al consumo umano? Le acque che vengono messe in commercio hanno dei rigidi controlli di qualità ma un tempo non era così, ci si doveva affidare all’esperienza. Una delle storie che mi ha più colpito è quella che mi ha raccontato Walter Usai, discendente di una importante famiglia di ceramisti sardi. Mi racconta che, subito dopo la pandemia, viene contattato da una persona che gli chiede una lavorazione particolare: gli chiede di fare un’anfora per l’acqua, con il tornio.
Una lavorazione completamente manuale
che vuole scongiurare la presenza nell’impasto di nessun’altra sostanza che non sia l’argilla. L’anfora così fatta ha una caratteristica: depura l’acqua da tutte le sostanze estranee rendendola pura. Questo tipo di contenitore, fatto in argilla viene cotto in forno e internamente non viene smaltato, a differenza delle brocche che servivano a portare il vino a tavola e che invece dovevano essere smaltate.
Le anfore per l’acqua sono dei contenitori che non hanno cambiato la forma nel tempo: i ritrovamenti archeologici ci raccontano di quanto la loro forma sia rimasta sostanzialmente uguale nei secoli. Probabilmente il contatto con l’argilla, che tende ad assorbire queste sostanze rende l’acqua più pulita. Esistono diverse forme per le brocche d’acqua, che le rendono adatte al trasporto sui cavalli, curiose forme che ricordano delle fiaschette e che ricordano la forma delle mammelle, come se l’acqua potesse essere considerata il nutrimento dato dalla terra.
Illusione o realtà?
Le analisi microbiologiche parlano chiaro: l’acqua, dopo il contatto di almeno quaranta minuti con l’argilla non smaltata, è davvero più pulita. Il committente di Walter arrivò a chiedere quaranta anfore, perché diceva che solo di quei contenitori poteva fidarsi per avere davvero l’acqua pulita. Chissà che la nuova frontiera del bere “sano” passi dall’uso delle terrecotte fatte a mano al tornio?