Reykjavík | ISLANDA

Tra Brennivín e Hákarl, viaggio mistico in Islanda

Una spedizione a nord è l’occasione per raccontare delle delizie che si possono trovare là, a patto di avere avuto il permesso degli Elfi!

Reykjavík | ISLANDA

Tra Brennivín e Hákarl, viaggio mistico in Islanda

Una spedizione a nord è l’occasione per raccontare delle delizie che si possono trovare là, a patto di avere avuto il permesso degli Elfi!

Non si può parlare di un viaggio in Islanda, senza affrontarne tutte le sue notevoli contraddizioni, paesaggistiche, culturali, ambientali, emotive.

Non si può raccontare l’Islanda senza dire, ad esempio, che qui ben il sessantacinque per cento della popolazione crede nell’esistenza degli elfi.

Huldufólk li chiamano, il Popolo Nascosto

presente ovunque. Molta della vita e dei costumi degli islandesi sono governati dal loro atteggiamento mistico verso questi compagni invisibili.

E si percepisce ovunque la loro presenza: una pietra magica, una collina, un elemento naturale.

Ne incontreremo diversi, lungo tutto il nostro viaggio, di questi luoghi.

Gli islandesi sono un popolo orgoglioso, determinato, di chiara origine vichinga. Ma sono anche il suo contrario. 

Hanno un detto: þetta reddast

letteralmente “andrà tutto bene”, frase che al giorno d’oggi riporta alla memoria periodi tristi, ma che per loro rappresenta la giustificazione alla procrastinazione dei compiti e dei progetti.

Sono un popolo strano: hanno un cibo nazionale tradizionale che loro non mangiano, o perlomeno io non gliel’ho mai visto fare; evidentemente sono anche un popolo furbo.

Sto ovviamente parlando dell’Hákarl: squalo fermentato, abbandonato a marcire per mesi sotto terra fino ad ottenere un forte sapore putrido e di ammoniaca.

Sono un popolo di burloni: mangiano agnello, buono, arrosto, speziato, in tutte le salse; mangiano merluzzo, salmone, char, skyr mentre l’Hákarl lo lasciano a noi e a Gordon Ramsay per realizzare i suoi video.

Ho girato per 10 giorni l’isola, in lungo e in largo, in cerca di Hákarl, senza successo. Ho girato ovunque e mi sono accorto, mentre impazzivo dietro falsi miti, quante altre stranezze e meravigliose follie ci proponeva l’isola. Non sto nemmeno qui a descrivervi i paesaggi a volte lunari, altre perfino marziani. 

Un luogo magico ben oltre la presenza degli elfi, un luogo fuori dal mondo e fuori dal tempo.

Unico pezzo di terra emersa a rappresentare la faglia atlantica che divide geologicamente di fatto l’Europa dall’America, l’Islanda è un paese dove le contraddizioni si fondono continuamente. Dove puoi trovare enormi distese di lava fino ad arrivare al mare e lambire impressionanti ghiacciai. Dove puoi trovare spiagge nere di sabbia lavica, punteggiate da piccoli e grandi blocchi di ghiaccio come fossero diamanti incastonati: ghiaccio e fuoco.

Viaggiando, ti imbatti in persone che percorrono strade statali sui pattini trainando carrelli con le valige, superi strade che prendono deviazioni inaspettate per aggirare un sasso sacro al Popolo Nascosto, attraversi piccole baie che avrebbero potuto facilmente essere collegate da un breve ponte, invece la strada prosegue con un profondo tunnel che si tuffa dentro al mare per riemergere inaspettatamente diversi chilometri più in là. 

Vedi mucche che portano i reggiseni, vedi reggiseni sulle staccionate a salutare i viandanti, semafori a forma di cuore.

Sono solamente alcune delle assurdità incontrate lungo il mio percorso, ad accompagnare le meraviglie dei paesaggi, con uno stato d’animo stupito ed abbagliato, mentre cercavo l’Hákarl.

Ovviamente, il mio amato vino qui non lo producono, qualche birra interessante si trova, molto gin, qualche whisky dimenticabile. 

Ma il vero prodotto alcolico tradizionale è il Brennivín

Rientra nel mondo delle Aquavit, bevanda alcolica di origine scandinava ottenuta distillando patate o grano e aromatizzandola con erbe o spezie. Il Brennivín si ottiene distillando cereali o purea di patate fermentate ed aromatizzando con il cumino. E si sente eccome, il cumino! L’accostamento fra naso e bocca, devo dire, è stato particolarmente interessante e piacevole pure per me, che non amo generalmente questi prodotti. Sarà stato il freddo, sarà stato che ad Akureyri i semafori a forma di cuore ti ben dispongono, sarà stato davvero il cumino, non so dirlo. Assaggiatelo.

Ero quasi a fine del mio giro, stavo rientrando verso Reykjavík, ero riuscito a fare tutto quello che mi ero prefissato per il mio viaggio. Avevo visto tutto quello che c’era da vedere ed anche di più, dalle balene agli elfi ma non ero pienamente felice, sapevo che ancora qualcosa mancava. Ogni volta che ci fermavamo per pranzare o per cenare, cercavo ristoranti dove poter assaggiare il famigerato Hákarl, lo squalo fermentato, il terrore di Gordon Ramsay.

Ma non c’era verso, nessuno lo aveva, nessuno lo serviva, nessuno mai lo mangiava. Ho iniziato quindi a convincermi che fosse un altro dei mille falsi miti di viaggio.

Fino a quando, l’ultimo giorno, mi ci imbatto a Vík, in un supermercato, in una confezione che immagino fosse una “trappola per turisti”, come me. 

Lo compro subito, insieme ad un altro italiano che ovviamente voleva provare, come me, questa strana esperienza mistica.

Cerco un posto adatto a degustarlo in pace e serenità, trovo la bellissima spiaggia nera di Vík, mi siedo su di una panchina naturale ricavata da un legno portato dal mare. Mio figlio, profeticamente, trova perfino un sasso a forma di testa di squalo. Lo metto accanto a me, per darmi forza.

Sono pronto, siamo pronti! Perché pure mia moglie e mio figlio lo vogliono assaggiare! Loro, disgustati. 

Io lo mangio, sereno

Certo, non è la cosa più prelibata del mondo, assomiglia ad uno sgombro stoppaccioso dal forte odore di pipì di gatto, se proprio devo descriverlo. Lo riassaggio, per sicurezza, ma non è poi così terribile.

In effetti, a distanza di un mese, non riesco ancora a decidermi se il fatto che a grandi chef e a gente abituata a mangiare bene faccia inorridire, mentre a me no, sia un complimento nei miei confronti o più facilmente la dimostrazione che io mangi davvero male!

Ma, mentre lo assaggio, mi trovo a riflettere: chissà come sarebbe potuto essere, accompagnato da un buon Sauvignon Blanc friulano?

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