Ed ecco l’ultima tappa del nostro viaggio in Borgogna. Se vi siete persi la prima tappa, la trovate qui, e la seconda qui.
Digione, ultima visita nella Borgogna classica: un posto meraviglioso dove vivere. Ti da l’idea di essere immutato nel tempo e nello spazio. Peccato doversene andare, dover uscire da questa magia.
Ma se Digione è un posto meraviglioso dove vivere, nella strada che ci avrebbe portato verso Chablis abbiamo visitato il posto perfetto dove morire: l’Abbazia di Fontenay, lo ripeto:
Non di solo vino può vivere l’uomo ed il suo spirito.
Fontenay te ne dà la prova materiale.
Ti trovi catapultato in una realtà quasi cinematografica, che ti lascia senza fiato. Tutto assolutamente ordinato, al suo posto. I prati perfetti, le mura intatte e pulite, i laghetti, le fontane, la chiesa con il pavimento di terra e sassi, com’era un tempo, ma perfetto, non un sassetto fuori posto.
Anche qui li ho visti passare, di sfuggita, gli Unicorni. Chissà se di notte riposano in quelle bellissime stalle…
Una breve sosta per rinfrancarsi lo spirito, un pranzo in camper di fronte all’Abbazia e poi si giunge a Chablis, altra meta piena di grandi aspettative.
Siamo quasi alla fine del nostro viaggio, dopo Chablis c’è solo la Côte des Bar, perché, giunti fin qui, ci pareva brutto non fare una capatina fino in Champagne!
Ma Chablis non doveva essere e non è stata solo una meta di passaggio. Chablis è Chablis.
Qui forse, nella maniera più netta, mi sono reso davvero conto della differenza sostanziale fra i vari Cru. Sarà perché è più piccolo il territorio, sarà perché spazialmente più comprensibile.
Abbiamo il paese, abbiamo il fiume, abbiamo il fiume Serein. Poi lo attraversi e ti ritrovi magicamente di fronte la collina dei Grand Cru!
Uno spettacolo emozionante
È tutto lì, a portata di mano. Sono tutti di fronte a te i Grand Cru. Tutto il resto intorno si divide fra Premier Cru, Chablis e Petit Chablis, ma i Grand Cru sono solo lì, nella stessa collina, con la stessa identica esposizione sud, verso il Serein. È tutto così facile e comprensibile, quando visiti i luoghi e li osservi coi tuoi occhi.
Chablis è stato come un fulmine a ciel sereno per me, molto più di Beaune e di tutti quei meravigliosi paesini tutti uguali nei dintorni della Côte-d'Or, tutti a valle delle medesime colline con il boschetto a cappello. A Chablis credo di aver capito veramente.
E poi, oltretutto, a Chablis è finalmente accaduto.
A Chablis abbiamo afferrato gli Unicorni
Siamo usciti per la nostra serata, senza grandi aspettative devo dire. Almeno io. Ma non perché non sapessi che sarei stato benissimo! Più perché uscivamo da un problema col camper che abbiamo risolto all’ultimo, fortunatamente, quindi sono uscito con un animo leggero e felice, soprattutto leggero, senza aspettative, appunto.
Su consiglio del nostro solito “consulente-tuttologo” della Borgogna, giriamo qualche enoteca in cerca di un paio di bottiglie specifiche. In genere non faccio nomi di produttori, ma questa volta credo che farò una eccezione: Francois Raveneau e Vincent Dauvissat.
Ogni volta che entriamo in un posto e chiediamo, veniamo guardati come pazzi e ci viene detto “no, impossibile trovare questi due vini, forse al ristorante”.
Vabbè, che vuoi che sia, sono stati tanti i nomi in questa vacanza che non siamo riusciti a trovare, per un motivo o per un altro e ce ne siamo sempre fatti una ragione. Anche questa volta era lo stesso.
Ci sediamo dunque per un aperitivo, ci consegnano una carta dei vini pazzesca e notiamo una scritta particolare a inizio menù che recitava: “Tutte le bottiglie sono ordinabili in qualsiasi quantità e si possono comprare anche da asporto, tranne quelle contrassegnate in blu. In quel caso si può ordinare solo una per tavolo fra tutte le bottiglie contrassegnate in blu e non si può avere da asporto”.
Che diavoleria è, pensiamo. Vabbè poco importa.
Sfogliamo il menù e notiamo due produttori in blu: Francois Raveneau e Vincent Dauvissat!!!
Eccoli i nostri Unicorni introvabili! Lì, proprio di fronte a noi!
Ma ne avremmo potuta prendere solo una, essendo entrambi in blu. Optiamo per Dauvissat, Premier Cru La Foret: non sto nemmeno a dirvi il viaggio. Un vino di una complessità pazzesca, in stile Côte-d'Or, ma con una mineralità, verticalità e allungo pazzeschi, caratteristiche tipiche di Chablis! Il connubio perfetto. Non ricordo nemmeno cosa abbiamo mangiato, forse formaggi, ma non importa, tutto sarebbe scomparso di fronte a quel vino.
Finita la bottiglia, facciamo finta di nulla, all’italiana, proviamo a ordinare l’altra di Raveneau. Eh no gente, impossibile, sono due blu, potete averne solo una. Merce rara da distribuire con parsimonia.
Dopotutto gli Unicorni non si concedono facilmente.
Ma siamo ugualmente estremamente felici. Andiamo a cena, in un ristorante fissato da tempo, uno dei pochi che aveva accettato prenotazione. Ci porgono la carta dei vini, grande come una Bibbia medievale. L’apriamo, scorriamo. Raveneau, Grand Cru Blanchot. Lo ordiniamo.
Gli Unicorni esistono.
La fuga in Côte des Bar, nell’Aube, è stata più per capriccio che altro. I nostri cuori erano già pieni di meraviglia. Eppure è stato bellissimo toccare con mano l’inizio di un altro territorio mitico, l’inizio di una mentalità completamente diversa, la mentalità dello Champagne, fatta di professionalità e di professionismo, più che di follia. Immaginifico più che magico.
Una giornata incredibile, che mi ha riportato con i piedi a terra, su suoli che forse la mia mente era maggiormente in grado di controllare, non lo so.
È servito anche quello per capire che gli Unicorni esistono.