Lombardia | ITALIA

Tzèrb, il sorso eretico della Valtellina

Nella celebre patria della Chiavennasca, l’incontro con un vignaiolo militante all’estrema ricerca dell’essenza di un territorio

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Tzèrb, il sorso eretico della Valtellina

Nella celebre patria della Chiavennasca, l’incontro con un vignaiolo militante all’estrema ricerca dell’essenza di un territorio

Viaggiare è (lo) strumento per allontanarci da tutto ciò che ci è familiare, uno “spostamento” circolare che avviene attraverso l’alterazione della nostra posizione geografica ed emotiva e in cui tempo e spazio assumono un significato rilevante, specifico, per certi versi eccentrico. E proprio in questa nuova dimensione il “viaggiatore” sceglie di vivere un tempo di nuova conoscenza che muove sui binari dell’inusuale, del diverso, del non noto, esponendosi a quello che Borges chiamava lo “stupore errante” di nuovi incontri. Succede allora che durante un viaggio in Valtellina, una delle tante terre percorse alla strenua ricerca di vini da scoprire e raccontare, ti imbatti in un certo Jonatan Fendoni (in arte Jonni Fendi), viticoltore anti-eroico (“la vita e l’agricoltura in montagna non devono abbracciare il culto della fatica, ma devono essere anche piacevoli”), che nel 2015 ha fondato l’azienda agricola Orto Tellinum in quel di Teglio, gioiello incastonato tra le Alpi Retiche a nord e le Alpi Orobie a sud.

Siamo nella patria della chiavennasca

 il nebbiolo coltivato tra le celebri “rupi” della montagna lombarda. Viticoltura eroica, si dice: ed in effetti qui il vino è da sempre prodotto ricavando minuscole superfici vitabili dalla puntuta pietra, frutto del certosino lavoro dei contadini del posto nel corso dei secoli. Ed è in questo contesto che si inserisce la storia di Jonni il quale, di ritorno dagli studi milanesi in scienze naturali, decide di recuperare progressivamente i terreni abbandonati del nonno, aggiungendovi poi altre piccole parcelle di amici e conoscenti a loro volta incolti da tempo, tutti per lo più coltivati a Chiavennasca e ad altre rare varietà autoctone della Valtellina. 

Incontrare Jonni e camminare insieme a lui tra le sue vigne è stato un progressivo percorso di “allontanamento spazio temporale dal conosciuto”, ennesima tappa di un viaggio che piano piano si mostrava nel suo significato più intimamente metaforico di percorso dentro sé stessi e le proprie (in)certezze. I terreni che ospitano le vigne si mostrano incolti, selvatici, un continuum con il bosco sovrastante: Jonni non utilizza fertilizzanti chimici, ma si affida all’erba sfalciata o rimossa manualmente e lasciata sul terreno a macerare. La vendemmia è fatta interamente a mano ed è estremamente tardiva (seconda metà di ottobre-novembre), così da consentire all’uva di raggiungere la massima maturazione. Nell’accompagnarci tra i suoi luoghi, 

Il vignaiolo di Teglio è un fiume in piena

con la parola e un moto perpetuo nell’azione, segno tangibile del desiderio, al tempo stesso un po’ egocentrico ma anche ecumenicamente appassionato, di trasferire ad altri da sé la fiamma vitale che lo ha accompagnato nella creazione di Orto Tellinum. Ed ecco che allora in questo continuo stream of consciousness in vigna, ti capita di scoprire che i metodi di coltivazione convenzionale e biologico sono forse due facce della stessa medaglia (“l’approccio alla natura è lo stesso, cambia solo quello che ci metti dentro”) e che l’unico metodo di coltivazione in armonia con la natura è quello ispirato al sapiente utilizzo delle tecniche agronomiche, il solo davvero in grado di evitare trattamenti chimici e concimazioni. 

L’effetto destabilizzante in me è forte e si accentua quando Jonni comincia a mostrarmi come le nuove vigne accanto a lui, impiantate secondo il moderno sistema del girapoggio (dove i filari seguono le curve di livello del terreno), siano certamente meglio esposte e più comode per la coltivazione, ma come allo stesso tempo rappresentino un attentato all’aspetto storico-visivo delle terre di Valtellina, da sempre identificate con i vecchi impianti a “rittochino” (cioè sviluppati secondo le linee di massima pendenza). A questo punto, nel cercare di districarmi 

Tra una pianta di assenzio selvatico e, incredibile ma vero, alcuni cactus di montagna

(“la siccità degli ultimi anni qui è stata tremenda”), mi assale il dubbio esistenziale sul senso di questa ricerca estrema dell’autenticità, a maggior ragione in un contesto in cui la contaminazione (sia in senso positivo che non) rappresenta una delle fondamentali chiavi di lettura della nostra contemporaneità. Preso da questi pensieri, mi tornano in mente, a mò di conforto, le parole dell’antropologo Pierre Sansot in quello che lui definiva la “nuova arte di vivere”: “La lentezza, ai miei occhi, equivaleva alla tenerezza, al rispetto, alla grazia di cui gli uomini e la natura sono talvolta capaci [ ] per quanto mi riguarda, mi sono ripromesso di vivere lentamente, religiosamente, attentamente, tutte le stagioni e le età della vita”

Adesso sono pronto per degustare i frutti di queste vigne così controcorrente: l’Eretico, l’Orobicum, l’Estremo e il Controvento, tutti vini rappresentati in etichetta dalla parola Tzèrb, in dialetto valtellinese “terreno abbandonato”, quasi a certificare l’unicità del loro percorso produttivo. La sobria cornice dell’assaggio, 

Una vecchia sedia impagliata e un tavolino

ricavato all’interno del piccolo cortile adiacente alla minuscola cantina, si pone in assoluto contrasto con le sensazioni che si dischiudono progressivamente alla beva. Vini che esibiscono un bouquet olfattivo che spazia dalle note di piccoli frutti scuri maturi alla balsamicità delle erbe aromatiche, sorprendentemente libero da quei difettucci odorosi che talvolta alcuni “produttori naturali” esibiscono come una medaglia al merito dell’artigianalità.

Il sorso è quasi sempre un trionfo di freschezza, con una sensazione di calore alcolico che, complice la vendemmia tardiva, porta progressivamente in bocca una piacevole percezione di corroborante energia. Sono vini saporiti, sfaccettati, dal gusto permanente in bocca e talvolta, anche, dal tannino appuntito. Le stesse asperità di una montagna e di un giovane produttore che però sanno donare qualità ai frutti del loro territorio.