Calabria | ITALIA

Il peperone crusco e il rosso oro del Pollino

Dalla Calabria al Pollino, alla scoperta del peperone crusco, simbolo di gusto e tradizione, tra paesaggi mozzafiato, sapori autentici e ricette creative del Sud Italia.

Calabria | ITALIA

Il peperone crusco e il rosso oro del Pollino

Dalla Calabria al Pollino, alla scoperta del peperone crusco, simbolo di gusto e tradizione, tra paesaggi mozzafiato, sapori autentici e ricette creative del Sud Italia.

La Calabria è tutti i blu del suo mare ripido, ammaliante e restio. E’ il verde delle foglie di cedri e bergamotti, il cui profumo risale con le termiche le ripide erte affacciate sul mare, si incunea nelle valli, percorre a ritroso le fiumane ormai aride fino a giungere nei borghi arroccati, inebriando i passanti di aromi caldi e pungenti.

La Calabria è il giallo e il viola e l’arancio dei fiori che esplodono in macchie travolgenti lungo le strade, dentro i giardini, sbucano dai muretti di confine, magari dopo chilometri di terre brulle, paesi variamente arroccati e assolati monasteri. E’ il nero assoluto della liquirizia lavorata da mani che trasformano con arte questa radice dalle molteplici proprietà in mille delizie variamente declinate.

La Calabria è il viola acceso delle trecce di cipolle di Tropea appese nell’ombra all’aria asciutta portata dal mare. 

Il rosso acceso della ‘nduja, delizia riccamente intrisa dell’orgoglio “nazionale”: il peperoncino calabrese

croce e delizia di ogni coraggioso palato pronto ad anestetizzarsi pur di affondare i denti nella scioglievolezza di un crostino generosamente spalmato di questo tenero salume.

E se fin qui pressoché ognuno di noi ha contezza e confidenza di cotanti doni, forse lo stesso non si può dire per le perle più nascoste. E me lo auguro, perché altrimenti tutto questo scrivere non sarà di grande utilità.

Una nuova combinazione di gusto sfocia in un’ennesima pasta da spalmare. Rossa di peperone, dolce o piccante, abbastanza ovvio no? Ricca di finocchio selvatico e diffusa soprattutto nella Provincia Crotonese, si è insinuata quest’estate nella mia mente la sorprendente Sardella.

Prodotta partendo dai bianchetti (novellame di acciughe) messi a macerare per lungo tempo con gli ingredienti succitati e sale, lasciandoli sotto il peso di un barile, è una sorta di ‘nduja di pesce. Presumibilmente discendente diretta, come la colatura di alici di Cetara, del Garum tanto caro a romani, greci e bizantini. Gustate questo « caviale calabrese » nei mercati o a casa di chi la prepara, la differenza con il prodotto della GDO è incolmabile. 

La Sardella si mangia spalmata su crostini di pane mentre sorseggiamo un Cirò bianco, rigorosamente con lo sguardo fisso sul mare al tramonto.

Spostandoci verso nord, e verso l’interno, abbandoniamo il mare e ci dirigiamo nei ricchissimi parchi di Calabria, specificamente in quello del Pollino, per incontrare il cibo degli dei. 

Ci avventuriamo dunque alla scoperta del parco, delle sue immense faggete, del canyon del Raganello e del Ponte del diavolo. Ci inerpichiamo in cima ai monti Pollino e Gada, con vista sul Tirreno, passando a visitare anche gli affascinanti calanchi. E dopo tutto questo dolce vagare il corpo affranto sente il bisogno di un ristoro. Capita dunque che fermandosi un pò a caso per mettere qualcosa sotto i denti, ci si imbatta in collane appese che a prima vista sembrano essere i soliti peperoncini piccanti, ma troppo grandi e scuri, ed infatti sono i fratelli maggiori e assennati, ovvero

 I peperoni rossi di Senise, o Corno di Capra

 In verità questo è un prodotto che travalica le regioni, è infatti condivisa con la Basilicata la cultura della lavorazione e del consumo di questo ortaggio giunto dalle Antille attorno al diciassettesimo secolo ad opera degli spagnoli. Di un bel carminio acceso, lungo tra i 10 e i 15 cm, reperibile in più varietà con leggere differenze di forma; appuntita o tronca, fa bella mostra di sè appeso nei mercati, nei ristoranti, nelle aziende agricole e nelle case da luglio/agosto, profumando l’aria col suo dolce aroma. Dopo essere stato raccolto, rigorosamente a mano, viene messo ad asciugare in mezz’ombra, su reti o teli. Una volta che i piccioli si siano ammorbiditi, vengono cuciti con spago a formare le serte, trecce lunghe fino a due metri, che vengono appese in locali areati come porticati e balconi, mai al sole diretto. 

Finalmente pronti, i peperoni vengono passati al forno e resi in polvere, conosciuta come paprica o zafarano, usata per insaporire salumi o salse e contorni. Ma il risultato più sorprendente si ottiene friggendo i frutti interi in olio non troppo caldo e per pochissimi secondi; raffreddatisi saranno inverosimilmente croccanti, 

Pronti a esplodere tutta la loro dolcezza ad ogni morso con uno scrocchio unico, da qui il nome « crusco ».

In questa veste potrete trovarli frantumati in un bel piatto di pasta con salsiccia o con del pesce spada, o, più tradizionalmente, solo con mollica di pane. Li adorerete interi come antipasto o adagiati amorevolmente su dei bei filetti di baccalà fritto, poggiati su crostini in abbinamento a una crema di pecorino oppure sposati alle patate. Ma non frenate la vostra fantasia, una volta assaggiato il rosso oro del Pollino troverete mille abbinamenti per portarlo in tavola. E se la creatività vi fa difetto non disperate, prendete una manciata di peperoni e tuffateli in olio caldo. Nemmeno il tempo di desiderarli e saranno già pronti, salateli leggermente e schiantate queste nuvole croccanti immaginando le calde terre del sud Italia.