Toscana | ITALIA

La rinascita del Borsa di Montone tra storia e nuovi custodi

Un pomodoro raro e striato di bianco torna protagonista in Val di Bisenzio grazie a Simone Rossini che intreccia tradizione locale e innovazione agricola.

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La rinascita del Borsa di Montone tra storia e nuovi custodi

Un pomodoro raro e striato di bianco torna protagonista in Val di Bisenzio grazie a Simone Rossini che intreccia tradizione locale e innovazione agricola.

Alla fine è solo un pomodoro…

Più che lecito pensarlo ad un primo approccio superficiale, ma abitando a Vaiano - proprio nel cuore della Val di Bisenzio - la storia di questo singolare ortaggio, legato alla mia terra ed a tanti miei concittadini, mi ha subito incuriosito, quindi non ho esitato a contattare colui che ha saputo preservare al meglio la memoria nel tempo.

Il nostro racconto parte con Simone Rossini, un giovane imprenditore locale che ha raccolto le testimonianze degli ultimi anziani orticoltori e – dopo essere stato designato dalla Regione come “custode della specie” - ha ripreso la coltivazione del Borsa di Montone su scala più ampia, promuovendone la storia e la diffusione.

Oltre la semplice narrazione degli eventi ciò che ho appreso da questa esperienza è che nel continuo flusso energetico della vita ci si può ritrovare, alle volte, a dei cambiamenti drastici lungo il nostro percorso, di cui sul momento non riusciamo neppure a cogliere la reale motivazione. Semplicemente si devia dalla strada principale, quella che ci è stata insegnata fin da bambini - la più facile e già battuta da tempo - per seguire un piccolo sentiero tortuoso e solitario, che - ad un primo sguardo - può apparire come un azzardo, ma il nostro istinto ci indica che è necessario.

È così che si racconta Simone, davanti ad una tazza di thè al bar del paese, confidandomi di essere giunto in vallata da adulto dopo esperienze di vita assolutamente distanti dalla “terra”: prima gli studi in scienze politiche, poi una carriera da tecnico del suono, e infine il desiderio di creare qualcosa con le proprie mani; di lasciare il caos cittadino - che ormai avvertiva come una morsa sempre più stretta -

Tornare alla semplicità contadina: un richiamo ancestrale

Simone ha trentasei anni, un sorriso che illumina la stanza e la luce negli occhi di chi sa cosa vuole;

quell’emozione energica di chi ora ha la certezza di aver trovato in quel piccolo sentiero nascosto la sua direzione. Il suo cambiamento comincia dapprima divenendo apicoltore, per poi cimentarsi anche nella produzione di olio d’oliva nella zona di Carmignano, finché non decide con la propria famiglia di trasferirsi da Prato a Luicciana, nel comune di Cantagallo, dove oggi gestisce l’Agriturismo Selvapiana.

Oltre all’ospitalità e alla ristorazione, qui si producono tanti prodotti a chilometro zero: dal suo amato miele (persino con curiose sperimentazioni di idromele spumantizzato) allo zafferano, ma il protagonista assoluto è lui: il pomodoro “Borsa di Montone”.

Cruciale in questa storia è stato l’incontro tra Simone e Amerigo Brandolin, anche lui grande appassionato di api e di botanica, che si prendeva anche cura di un orto bellissimo, vivo, di quelli in cui tutto è equilibrio. Qui coltivava anche 

uno stravagante pomodoro, con una forma simile al Canestrino, ma dalla buccia molto sottile e caratterizzata da insolite striature biancastre

a cui Amerigo, non a caso, aveva soprannominato “Tigrato di Luciana” (avendone ricevuto i semi in dono anni primi proprio da un contadino residente nel borgo di Luciana, a Vernio).

Nella ricerca di maggiori informazioni, Simone scopre che il pomodoro era molto diffuso nella zona e conosciuto con il nome di “Borsa di Montone”.

Tra gli altri coltivatori vi era anche Ademaro Bartolini (fondatore dell’agraria di Vaiano), che coltivava nel suo orto esclusivamente questo pomodoro garantendone negli anni la preservazione da possibili ibridazioni. Fu proprio la famiglia del Bartolini dal ritorno dalla Francia negli anni Quaranta ad introdurre la coltivazione del “Borsa di Montone”  nella Val di Bisenzio ed Ademaro, con la sua agraria, lo aveva poi fatto conoscere ed apprezzare in tutta la vallata, arrivando a venderne circa diecimila piantine l’anno.

Poi negli anni Novanta – con l’avvento degli ibridi commerciali – è stato, ahimè, pian piano soppiantato da altre varietà più resistenti e produttive. Il Borsa di Montone, infatti, ha una buccia molto delicata che, se da una parte è più facilmente digeribile e ha una bassa acidità, dall’altra lo rende un prodotto poco resistente dopo il raccolto, limitandone inevitabilmente l’attrattiva commerciale.

Simone convince Ademaro a regalargli alcune delle “piantine originali” 

per iniziarne la coltivazione anche nel suo agriturismo, nell’intento di continuare questa missione di preservazione.

Una ulteriore conferma della validità del percorso arriva quando Simone s’imbatte in un gruppo di ricercatori (finanziato dal Dipartimento di Scienze Agrarie dell’Università di Pisa), che si interessa al Borsa di Montone come specie vegetale in via d’estinzione, con l’intento di inserirla nella Banca del Germoplasma (ovvero l’archivio contenente tutti i semi delle varietà a rischio). 

Prende vita così uno studio durato circa due anni, durante i quali Simone ha fornito all’ateneo pisano ogni parte della pianta nei suoi diversi momenti vegetativi (foglie, fiori, frutti nei vari stadi di maturazione) e che ne ha previsto la coltivazione anche nelle zone di Alberese (in provincia di Grosseto) e a Pisa. La ricerca che è stata condotta ha scoperto che le tipiche striature biancastre sono una caratteristica propria della pianta e non l’effetto di una virosi.

Forse la sfortuna commerciale di questo prodotto è stata segnata anche dal suo

particolare aspetto, le striature bianche sulla buccia, che poco si sposano con il concetto di perfezione estetica data da un pomodoro uniformemente rosso, come accade nella grande distribuzione.

Andando oltre il pregiudizio sulla forma si scopre un prodotto eccezionale ed unico nel suo genere. 

Una buccia sottile, striata di bianco che racchiude una polpa quasi completamente priva di semi, carnosa, dolce e gustosa

Ottimo da consumare crudo, ma altrettanto versatile in cucina e che ben si presta anche alla produzione di sughi e conserve.

Un matrimonio perfetto l’ho riscontrato indubbiamente tra il Borsa di Montone ed il tortello di patate della Val di Bisenzio. Un piatto tipico del territorio toscano, di cui varie zone rivendicano l’origine: dal Mugello fino, appunto, alla vallata pratese, dove la tradizione della pasta ripiena si pensa sia giunta dopo lo sviluppo dei trasporti e l’inevitabile contaminazione con la vicina cucina emiliana.

Il connubio è unico tra l’aromaticità e sapidità del tortello

(che prevede un ripieno di patate lesse, formaggio, spezie ed erbe aromatiche) con la dolcezza e pienezza di gusto di questo pomodoro, dove la ruvidezza della pasta abbraccia la corposità della salsa, creando un boccone ricco ed emozionale, che per me – cresciuta nel Mugello, dove passavo le mattine d’estate a fare i tortelli in casa con la nonna - è un ricordo quasi proustiano.

Grazie alla generosità di Simone, ho avuto la possibilità di assaggiare gli ultimi pomodori di questa stagione, che ho condiviso - insieme all’avvincente storia - con la mia famiglia, nel modo più classico e genuino per noi toscani: su una fetta di pane “bozza” pratese, con olio evo e basilico.

E per un momento, malinconicamente, ho ripensato ai suoi pionieri - Amerigo e Ademaro - che ahimè non sono più tra noi, ma hanno trovato in Simone un curioso e giovane eroe forestiero, che ha fatto della vallata la sua nuova casa, proteggendone la storia ed i suoi prodotti nel tempo.

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